![]() Vinicio Coppola
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Anno Rotariano 2010-2011 |
![]() Pietro Schino
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#5 Mar-Apr 2011
Bisogna dar voce a chi non ha voce
Un invito e un messaggio di monsignor Nicola Girasoli, Nunzio apostolico in Zambi a e Malawi
“Dare voce a chi non ha voce”. E’ un pressante invito – e, nel contempo, un caloroso messaggio che risponde in pieno agli ideali di noi rotariani. Un messaggio che è stato lanciato, con particolare fervore, proprio dalla ribalta della ruota dentata nel corso di un interclub (Bari Sud e Bari Castello) da un oratore d’eccezione, monsignor Nicola Girasoli, nunzio apostolico in Zambia e Malawi, il quale ha preso le mosse dalle sue esperienze nei vari angoli del mondo in cui ha svolto il suo apostolato. In particolare, per oltre un ventennio si è interessato allo studio dei diritti e doveri delle minoranze, di quelle minoranze che hanno la voce troppo debole per farsi valere, sia che si trovino in Australia, oppure in America o in Asia, come in Europa o in Africa.
Insomma, mons. Nicola Girasoli, come è emerso dalla sua lucida e appassionata testimonianza, ha dovuto adattare la propria azione pastorale alle esigenze di questo o quel paese per rendere comprensibile il messaggio del cattolicesimo, che è messaggio d’amore e di rispetto per la dignità dell’uomo, di comprensione per le situazioni di disagio sociale, soprattutto nei confronti dei “senza voce”.
E’ stato questo il nocciolo del suo intervento su “Lo sviluppo dei Paesi dell’Africa sub-sahariana nel contesto della globalizzazione”, in combine con la presentazione del libro di Santa Fizzarotti Selvaggi dal titolo ”Lungo la via del nardo … verso Gerusalemme”, edito da Schena, di cui ci occupiamo in altre pagine del Bollettino. Un intervento che ha preso spunto dalla società multiculturale nella quale ormai viviamo per interrogarsi sul tipo di società che vogliamo contribuire a creare.
Su tale argomento l’oratore è stato chiaro: bisogna superare il concetto di società multiculturale come mosaico di culture, come visione statica della realtà, per attuare la definizione del Consiglio d’Europa che – andando oltre la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo elaborata dall’Onu nel ’48 – parla di gruppi interattivi che vivono come organizzazioni sociali, in solidarietà con altre identità culturali .
E, partendo proprio da tali considerazioni, monsignor Girasoli ha auspicato la creazione di una seconda Camera al Parlamento europeo dove tutte le minoranze – etniche, nazionali e perfino transnazionali , come quella degli zingari – possano essere rappresentate e dare voce alla propria identità, evitando di finire nel nulla sotto il peso della globalizzazione.
Ed ha così concluso: “Occorre porsi sulla linea della interculturalità , e riportare nell’ambito delle nazioni l’esempio che in questo senso si realizza già oggi in tante famiglie con genitori e figli appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali o culturali”.
#4 Gen-Feb 2011
Analfabetismo, un’amara realtà
Novecento milioni al mondo non sanno leggere nè scrivere!
Sembra incredibile: nel mondo ci sono oltre 900 milioni di persone che non sanno né leggere né scrivere. E’ l’amara realtà che emerge da recenti indagini demoscopiche – compresa quella dell’Ocse – dalle quali si evince che l’analfabetismo è uno dei problemi più assillanti che affliggono oggi l’umanità per le gravi conseguenze sulla salute, sul lavoro e sulle condizioni di vita di coloro che ne sono affetti. Ragion per cui l’alfabetizzazione è determinante per sradicare la povertà, per ridurre la mortalità infantile, per superare barriere culturali e razziali. Il che vuol dire anche instaurare l’uguaglianza dei sessi, , assicurare la democrazia e la pace.
Per questi motivi le Nazioni Unite decretarono che il decennio 2003-2012 venisse identificato come il “decennio dell’alfabetizzazione”, primo e decisivo passo verso un’istruzione che creasse indipendenza, che moltiplicasse le opportunità di accedere a diverse professioni. Punto di partenza, anzi condizione “sine qua non”, è la padronanza dello strumento alfabetico, in quanto l’alfabetizzazione, volta a fornire un sapere di base, non si limita, in età contemporanea, alle tre “r” anglosassoni (reading, writing, rechonig) del leggere, scrivere e far di conto, ma prevede cognizioni utili per intraprendere attività produttive.
Dopo l’eliminazione della fame, l’istruzione primaria costituisce il secondo, in ordine d’importanza, degli otto obiettivi di sviluppo del terzo millennio che i centonovantuno Stati membri dell’Onu si sono impegnati a raggiungere entro il 2015. Di qui la mobilitazione di tutte le organizzazioni mondiali, a cominciare dall’Unesco. Di qui la presa di posizione del presidente Usa, Obama, di dedicare, nel suo messaggio sullo stato dell’Unione, particolare attenzione al problema e allo stretto collegamento che esiste tra il benessere economico di una nazione e l’educazione dei suoi cittadini. E non ha esitato a scendere subito in campo per lanciare il progetto “No child left behind!” , ossia migliorare i sistemi educativi per la scuola elementare e secondaria.
E il Rotary? Come noto, il Rotary International ha avviato la campagna contro l’analfabetismo sin dal 1978. In quell’anno, infatti, la Commissione 3 H (Health, Hunger, Humanity) stabilì che la lotta contro questo flagello diventasse una priorità assoluta accanto a quelle dell’acqua, della salute e della fame nel mondo. Seguì quindi la promozione di iniziative di alfabetizzazione, attraverso gli oltre 33mila Club di tutto il mondo, destinate ad adulti e bambini, nonché agli insegnanti.
Alfabetizzazione intesa non solo come strumento di emancipazione, ma anche come componente essenziale di integrazione sociale e di sviluppo economico. In altri termini, favorire la comprensione reciproca, l’integrazione interculturale, il miglioramento sociale, e quindi il superamento delle diseguaglianze.
#3 Nov-Dic 2010
Sì, u presepe ci piace!
Natale, festa emblematica della solidarietà, della famiglia. Ed è anche una festività legata allo scambio di auguri e doni. E tra usi e costumi, il primo posto nelle nostre dimore – più che all’Albero di Natale – tocca al Presepe derivato, come si sa, da tipiche rappresentazioni medievali che la tradizione fa risalire a San Francesco d’Assisi. Presepe che, sotto Carlo III di Borbone, nel secolo dei Lumi, conobbe a Napoli una felice stagione, grazie anche all’estro creativo di abili artigiani che consentirono alla sacra rappresentazione di raggiungere le più alte vette dell’Arte.
Artigiani-doc che tutt’oggi, sia pure in minore misura ma con risultati sempre soddisfacenti, danno una mano a tenere alto il prestigio dei presepisti partenopei. Ovviamente, usando materiali offerti dalla moderna tecnologia, quali, ad esempio, il das, il vinavil, la plastica istoriata. E così succede che un mosaico dell’antica Roma possa nascere dal ritaglio di una vecchia tovaglia plasticata, oppure una colonna con relativo capitello venga fuori da un tronco di niveo polistirolo, mentre antichi tessuti sono utilizzati per rinverdire il serico ed aulico fascino del Settecento.
Come attestano le accattivanti esposizioni allestite lungo San Gregorio Armeno, la celebre via destinata ad accogliere il meglio dell’arte presepiale. Mio padre era un napoletano verace e ricordo benissimo il suo attaccamento viscerale al Presepe, anche perché ne aveva ereditato uno che, a suo dire, era venuto alla luce in epoca borbonica. Nei comportamenti, lui era più o meno simile al protagonista di “Natale in casa Cupiello”, una commedia scritta da Eduardo nel 1931, tutta incentrata sull’interrogativo pressante e ripetitivo – “Ti piace u’ presepe?” – che il protagonista, Lucariello Cupiello, rivolgeva al figlio, un po’ sfaticato e sempre assonnato. E il figlio… degenere, Tommasino, imperterrito, rispondeva con dispettosa litania: “No. A me piace a’ zuppa e latte; u’ presepe nun me piace!”.
E sempre un napoletano, Bruno Cardaropoli, da tempo residente in Puglia, si distingue per le sue originali novità presepiali, novità che spesso presenta in mostre e rassegne,raggranellando ambiti e lusinghieri riconoscimenti. Ovviamente, i suoi presepi sfoggiano una matrice partenopea, ma con una peculiarità che li distingue da tutti gli altri: prendono spunto dalla storia dell’Arte, come attestano alcuni esemplari che, facendo il verso a dipinti del Mantegna, sfoggiano cupe montagne rocciose, punteggiate da rocche e castelli, mentre in pianura, davanti ad un’osteria, si esibisce un gruppo di musicanti con strumenti folkloristici. Per non parlare di pastori, pecorelle e animali da cortile, realizzati con encomiabile e paziente abilità. E spesso fanno capolino angoli suggestivi attinti da Philipp Hackaert o da Sandro Botticelli.
E, restando nel campo dell’Arte, va ricordato che la scena della Natività è un tema ricorrente, come attesta l’ “Adorazione dei pastori” di Guido Reni; e la stessa cosa può dirsi della musica sacra eseguita dai zampognari, e della gastronomia che in questi giorni di festività raggiunge il diapason con saporiti manicaretti e leccornie d’ogni tipo.
Ma il Natale, al di là di queste pur gradite e succulente testimonianze, è soprattutto – giova ripeterlo – festa della solidarietà, dell’amicizia, della famiglia. E per famiglia, intendiamo anche la grande famiglia rotariana che, in tutto il mondo, raggiunge la ragguardevole cifra di un milione e 250mila soci, disseminati in 32mila Club di oltre 165 Paesi. Un afflato che va al di là dei confini e degli steccati campanilistici. E nell’alveo di questa rinnovata e consolidata fratellanza, gli auguri più sinceri e calorosi vanno a tutti coloro che fanno parte della ruota dentata, senza distinzione di sesso, razza e religione. Magari, conclamando all’unisono:
“Sì, u presepe ci piace!”.
#2 Set-Ott 2010
La roccia sulla quale si è costruito il Rotary.
L’azione professionale? E’ uno dei cardini fondamentali cui si ispira il rotariano-doc. Un’azione che, in altri termini, si sostanzia nell’ “honeste” vivere latino, ossia nell’operare con rettitudine, onestà adamantina e massima lealtà. Insomma, bisogna agire in modo che la nostra professione si svolga senza zone d’ombra, alla luce del sole; e che ci consenta di far valere i nostri diritti, pur sempre nella piena osservanza dei doveri.
In altri termini é una professione che va esercitata con convinta dignità e con il massimo prestigio. Oggi più che mai siamo chiamati ad offrire un modello di integrità in un mondo nel quale assistiamo all’eclissi di gran parte dei valori. E proprio dal dilagare di taluni disvalori – come la disonestà e la corruzione – nasce il saldo impegno di noi rotariani a vigilare, a dare prova nel quotidiano di un modello che deve costituire esempio, in un mondo in cui si è affievolita persino la coscienza civile.
Che fare allora? Occorre improntare la pratica delle professioni e degli affari ai principi della più alta rettitudine e riconoscere pari dignità ad ogni occupazione, anche la più umile. E far sì che la stessa professione venga esercitata nel modo più degno, quale mezzo per servire la società in cui operiamo. Dobbiamo soprattutto essere di esempio ai giovani, fornendo loro una ridda di indicazioni concernenti attività svolte, senza tentennamenti, nel rispetto di principi immutabili che devono scandire ogni momento del nostro vivere quotidiano.
Sono le nuove generazioni il nostro futuro. Per questo va promosso e favorito un dialogo costante e proficuo, anche per fondere la nostra saggezza con il loro entusiasmo, con la loro gioia di vivere, facendo tesoro, in ogni occasione, della loro stimolante conoscenza delle tecnologie più avanzate. Pensare ai giovani significa pensare al nostro futuro, prevedere l’evoluzione della società nella quale viviamo per anticiparne i percorsi di cambiamento. In tale contesto è opportuno ricordare quanto sosteneva Groucho Marks: ‘Mi interessa molto il futuro. E lì che passerò il resto della mia vita’.
E con pari umorismo il rotariano Winston Churchill amava ripetere: ”L’abilità politica è l’abilità di prevedere quello che accadrà domani, la prossima settimana, il prossimo mese e l’anno prossimo. E di essere così abili, più tardi, da spiegare perché non è accaduto”.
Il Rotary – va sottolineato – è proiettato verso il cambiamento delle condizioni sociali dei paesi sottosviluppati allo scopo di dare pari dignità ad ogni essere umano. Purtroppo, ad onor del vero, non è prevedibile che nei periodi di tempo medi e lunghi possano verificarsi cambiamenti tali da poter debellare i tanti mali che affliggono il nostro pianeta, dalla fame all’ignoranza, dalla povertà alla violenza. Ma tali considerazioni non debbono frenare le nostre iniziative, anzi dobbiamo cooperare concretamente alla sviluppo culturale della comprensione mondiale, senza discriminazioni di sorta. Solo in tal modo sarà possibile coltivare la speranza per giungere un giorno allo splendido traguardo di un mondo migliore, più sano, più giusto.
Non per niente il fondatore del nostro sodalizio, Paul Harrys, soleva ripetere: “L’amicizia è stata la roccia sulla quale è stato costruito il Rotary e la tolleranza è ciò che lo tiene unito”.
#1 Lug-Ago 2010
Abbiamo grandi doveri nei confronti dei giovani.
Settembre, mese delle nuove generazioni, ci offre il là per concentrare la nostra attenzione sui programmi a favore dei giovani per farne i rotariani di domani. Non per niente Lord Byron sosteneva, con particolare veemenza, che “i giorni della nostra gioventù sono i giorni della nostra gloria”. Di qui l’imperativo categorico che ai programmi in favore dei talenti emergenti sia data la massima importanza a causa del potenziale imparagonabile che essi hanno per influenzare le menti dei giovani con sentimenti di pace, buona volontà e armonia. Un potenziale enorme perché le esperienze dei primi anni di vita non ci abbandoneranno mai e sono quelle che formeranno la nostra personalità di adulti. San Francesco Saverio soleva dire in proposito: “Datemi un ragazzo di sette anni, ed io vi darò l’uomo che diventerà”.
In tale contesto la nostra azione professionale va estrinsecata in modo da offrire ai virgulti utili insegnamenti, sia sotto l’aspetto professionale, propriamente tecnico, sia sotto l’aspetto etico. Per conseguire un risultato del genere, occorre offrire testimonianza di elevati principi morali nell’esercizio dell’attività in qualunque campo essa si esplichi, e fare in modo che essa sia idonea a far crescere coloro che sono nella verde età non solo nelle rispettive professioni e attività, ma informando le medesime agli immutabili principi etici.
Nei confronti dei giovani – è bene ripeterlo – abbiamo dei grandi doveri ai quali non dobbiamo venir meno se non vogliamo, pur paventandola, la definitiva caduta della coscienza civile e la destabilizzazione. E sempre a loro proposito va ribadito che la cooptazione deve avvenire soltanto nei confronti di candidati di entrambi i sessi, senza alcuna discriminazione di sorta. Le donne, insomma, hanno pieno titolo per essere cooptate. E tutti – sesso forte e debole -sono tenuti a lavorare con impegno ed entusiasmo nella consapevolezza dell’orgoglio di appartenere alla più antica e accreditata associazione non governativa del mondo. In particolare, dobbiamo lavorare con amicizia, al di sopra di ogni interesse personale.
Restando in argomento va ricordato che l’amicizia va interpretata secondo il pensiero ciceroniano per il quale “l’amico si loda in presenza, si difende in assenza, si rimprovera in segreto”. E’ nota a tutti l’ambascia di Paul Harrys per la mancanza di amici. Proprio da questa esigenza nacque l’idea di costituire, nella grande Chicago del primo Novecento, dove aveva aperto lo studio di avvocato, un’associazione che accorpasse persone di diversa professione, senza restrizioni di fede religiosa o idee politiche, e nell’assoluto rispetto delle opinioni altrui.
A distanza di oltre un secolo – centocinque anni, per l’esattezza – noi dobbiamo operare in coerenza con quanto il Rotary ha tracciato nel corso della sua storia, con una “full immersion” nella grande famiglia mondiale, fra uomini e donne di ogni religione, di ogni colore politico, di ogni lingua. E, perché no? – di ogni estrazione sociale.